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Perché l’interesse mediatico può trasformarsi in un’occasione professionale (e umana).

L’onda è partita all’alba del 21 maggio 2025, quando la Repubblica ha pubblicato l’intervista in cui l’attrice Francesca Inaudi, dopo un cesareo d’urgenza vissuto come «una carezza mancata», racconta la decisione di formarsi come doula per restituire alle madri il senso di controllo sul proprio parto.

Il tema non era nuovo ai social: già nel 2018 Chiara Ferragni, 34+ w di gravidanza, aveva chiesto su Instagram se non fosse «troppo tardi» assumere una doula; la curiosità della fashion-influencer aveva acceso un dibattito fra milioni di follower e spinto testate lifestyle a spiegare, in fretta e furia, che cosa facesse davvero questa “coach delle mamme” (Vanity Fair Italia). L’attenzione intermittente del gossip, però, non basta a scrivere fenomeni duraturi; l’ingresso di Inaudi – attrice, diplomata e impegnata in consulenze sul campo – ha trasformato la curiosità in domanda concreta.

Di che figura stiamo parlando?

La doula è una professionista del sostegno non clinico: accompagna gravidanza, travaglio e post-parto con ascolto e l’organizzazione pratica del quotidiano. In Italia opera come “professione non ordinistica”, in virtù della Legge 4/2013 che disciplina le attività senza albo: libertà d’esercizio, codice etico delle associazioni, obbligo di trasparenza con l’utenza (Normattiva). Proprio perché non esegue atti sanitari lavora in sinergia con ostetriche, liberando tempo per quella dimensione emotiva di cui il sistema ospedaliero dispone sempre meno.

La scienza dietro il racconto

Non è solo questione di “good vibes”. Una revisione Cochrane su oltre quindicimila donne dimostra che un accompagnamento continuativo durante il travaglio riduce i cesarei, abbrevia la durata media del parto e aumenta la soddisfazione materna, senza effetti avversi (cochranelibrary.com). L’OMS, nel 2018, ha inserito la presenza di un accompagnatore di scelta fra gli standard di assistenza rispettosa: un indicatore di qualità, non un vezzo da star. In altre parole, il valore della doula non nasce dalla celebrità che la sfoggia, ma dall’evidenza che la sostiene.

Un mercato giovane che aspetta professioniste

Secondo le associazioni di categoria e gli studi universitari, in Italia sono state formate circa seicento doule; la metà opera attivamente (Università di Padova Research). A fronte di oltre 380.000 nascite all’anno, il rapporto resterebbe di una sola doula ogni mille parti: spazio abbondante, dunque, per chi desideri entrare in una professione che unisce competenze relazionali, flessibilità oraria e un impatto immediato sulla qualità della nascita.

L’eco generato da Inaudi e rilanciato da Ferragni fa il resto: più articoli, più ricerche su Google, più famiglie che chiedono “come si trova una doula?”.
Il momento, in altre parole, è propizio.

Se senti la chiamata

Diventare Doula non significa solo imparare tecniche di massaggio o posizioni antalgiche. Significa, prima di tutto, allenare la capacità di stare accanto alle emozioni senza medicalizzarle, è un lavoro di relazione profonda che chiede formazione seria e supervisione continua, ma offre in cambio la possibilità – rara – di consegnare a una madre il ricordo di un parto vissuto con dignità e fiducia.

Se questa prospettiva ti fa battere il cuore, il consiglio è semplice: cerca un percorso formativo adeguato valutando i docenti ma soprattutto la loro storia operativa, reale e non millantata, sul territorio. È il modo migliore per capire se quel che nutre le prime pagine – le storie delle celeb, i titoli a effetto – corrisponde alla tua personale idea di cura.

 

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